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Route di pasqua 2016

Iniziativa Pasqua 2016

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Concerto di Pasqua 2016 di Musicantiqua

Il coro di musicantiqua si è esibito nella chiesa di S. Martino il 20 marzo 2016

(in allegato il programma)

 

"C. Franck: le ultime sette parole di Cristo sulla croce" (soprano, violino, violoncello, organo)

 

Musiche di: Haydn, Mozart, Franck, Sampieri, Rheinberger, anonimi
(coro, organo, violino, violoncello) 

 

 

Replica ultimi due canti insieme al coro dei giovani dell'accademia

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Mercoledì delle ceneri

 

Programma di Quaresima 2016

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Esiste il modello di "famiglia cristiana"?

 

Un discorso molto chiaro ed esauriente scritto da padre Balducci ai tempi del referendum sul divorzio (1974) davanti alle tante discussioni che oggi avvengono su unioni civili, diritti omosessuali, ...

 

Svelare le mistificazioni e le menzogne

(Abbiamo l'occasione di) affrontare questi problemi, per svelare tutte le mistificazioni, le menzogne, concretizzate e dissimulate all'interno di certi principi suggestivi. Parlando da cristiano a gente che in gran parte si ritiene tale, ci tengo a dire che il momento che stiamo vivendo è proprio il momento in cui dobbiamo abbattere (noi ne siamo i primi responsabili) quella che chiamerei l'ideologia cattolica, come ideologia di copertura del mondo borghese, il quale mondo borghese trova vantaggio nel coprire i suoi obiettivi di conservazione sociale con dei valori cosiddetti cristiani che hanno ancora una grandissima forza di suggestione nelle coscienze. La difesa della famiglia cristiana è un aspetto dell'ideologia cattolica che, molto di più di quanto potremmo pensare, nasconde la volontà di conservare un certo tipo di società e un certo tipo di sistema di rapporti di proprietà. Alzare quindi questo velo è in un sol momento recuperare la possibilità di un rapporto più vivace, più liberatorio col Vangelo e smascherare le reali intenzioni della classe dominante. (...)

Non esiste un modello cristiano di famiglia

Che cosa si nasconde, però, dietro questo cosiddetto modello cristiano della famiglia? È lecito attribuire al messaggio cristiano un modello di famiglia quale quello che abbiamo ereditato dal passato e che ancora sopravvive? Ecco, la risposta è subito no. Si tratta appunto di una menzogna, non di quelle architettate da chi sa quale mal intenzionato, ma di quelle menzogne che nascono per una specie di escrescenza storica progressiva, sulla spinta di altre ragioni che non sono di tipo ideale, ma pratico.

Non esiste la "famiglia cristiana", essa è appunto un falso valore. Io vorrei mostrarvi come liberandoci da questa falsificazione, ricercando anche le ragioni per cui essa è nata e si è fatta valere e riferendoci con coscienza liberata alle esigenze evangeliche, noi ci mettiamo in movimento tra le forze che mirano a far crescere la nostra società e liberarla anche da altre schiavitù. Che cosa intendiamo quando si parla di modello cristiano della famiglia? Noi possiamo riferirci o al particolare ordinamento giuridico della famiglia, quello che è stato elaborato lungo i secoli dalla Chiesa cattolica, oppure ad un particolare concetto etico, morale della famiglia, che, anche indipendentemente dall'ordinamento giuridico-canonico, si è fatto valere da parte della società italiana. Per cui si dice che la famiglia tipica italiana è una famiglia di formazione cristiana.

Ora, spieghiamoci su questo punto. Intanto sta di fatto che quando noi parliamo della famiglia secondo l'ordinamento canonico, quello che per adesso rimane in prima gestione della Sacra Rota e dei Tribunali diocesani, noi non dobbiamo affatto ritenere che si tratti della traduzione giuridica di un ideale evangelico. Si tratta invece di una creazione storica, precisamente databile, di cui è responsabile la Chiesa cattolica.

I primi cattolici non avevano un ordinamento giuridico proprio della famiglia. Essi vivevano la vita di famiglia, ed anche diremmo istitutivi, secondo il costume del tempo. Non c'era, per dir così, il matrimonio in chiesa; non c'era una anagrafe o un tribunale ecclesiastico per i matrimoni, non c'era il prete, al matrimonio. I cattolici si sposavano come tutti gli altri. Non sentivano alcun bisogno di dare al loro matrimonio un ordinamento giuridico particolare all'interno del generale ordinamento giuridico della società in cui vivevano, specialmente in quella ro-mana.

Ad esempio, là dove erano le famiglie a stabilire il matrimonio dei figli, i primi cristiani facevano come gli altri: il padre di famiglia destinava alla figlia un dato marito, d'accordo con la famiglia del promesso sposo, senza che i due interessati potessero aggiungere nulla, perché questo era il costume. Inutile quindi andare a cercare nei primi cristiani un modello di "famiglia cristiana". Così, per quanto riguarda il modello etico della famiglia, non esiste un concetto etico specificamente cristiano, nei primi secoli. C'è una visione, se vogliamo, di fede, teologale, cioè legata al riferimento a Cristo. Non esiste però un ideale di famiglia con particolari contenuti morali. La prassi familiare si modellava sul costume morale del tempo. Anche se è chiaro che il cristianesimo impose un rigore morale, un rifiuto di certe forme di depravazione, una condanna di certe degenerazioni; però non disse cose diverse da quelle che poteva dire l'etica degli stoici o dei pitagorici. Quindi il cristianesimo non si presenta con una sua etica familiare formulata nei primi tempi.

Come nasce il modello cristiano della famiglia

Solo quando la Chiesa, dopo Costantino, e precisamente con Giustiniano, acquista una responsabilità di tipo sociale, per cui tutti i momenti della vita sociale vengono gestiti dal clero, incomincia a formarsi un ordinamento matrimoniale cristiano che, come vedremo, si è poi accresciuto, si è arricchito, si è accreditato in ogni modo fino a trovare il suo sigillo nel Concilio di Trento e a diventare anche un modello di ispirazione per molti ordinamenti giuridici civili. Il codice napoleonico fu in gran parte tributario di questa tradizione giuridica della Chiesa medioevale. Tuttavia ci domandiamo se il matrimonio cosiddetto cristiano ha veramente obbedito alle esigenze evangeliche o non piuttosto alle esigenze della società del tempo. La risposta è chiara: la cosiddetta famiglia cristiana, con tutti i connotati giuridici ritrovabili nel codice canonico, con tutti i connotati etici ritrovabili nel costume esemplare, è un prodotto storico e, come tale, relativo. Per cui io non riesco a capire, proprio dal punto di vista diremo dell'individuazione culturale, che significhi difendere in una società pluralistica un modello cristiano di famiglia, perché non so quale sia questo modello, perché non si dà un modello proprio del cristiano. La famiglia cristiana, se noi la conserviamo come prodotto storico ereditario, nasconde invece in sé particolari pregiudizi, particolari difformazioni, particolari rapporti sociali legati allo sfruttamento che sono tutti da rifiutare.

Caratteristiche superate della famiglia cristiana

Quali sono queste caratteristiche storiche da considerare superate? Innanzitutto è chiaro che l'unità della fami-glia cristiana usufruiva di un dato economico, era l'unità patrimoniale. Il padre di famiglia era l'unico responsabile del patrimonio familiare, era lui l'unica figura economica della famiglia. E quindi l'unità della famiglia, anziché essere il prodotto della scelta cosciente dei coniugi, era un portato fatale dell'indivisibile unità patrimoniale. (...)

A reggere l'indissolubilità della famiglia, oltre a questa ragione economica, esisteva un ambiente cosiddetto monoculturale, cioè a cultura unica, per cui tutti gli elementi culturali dell'ambiente spingevano a ricercare la propria identità nella famiglia di appartenenza. Una donna non aveva un suo mondo culturale. I figli non avevano un mondo culturale autonomo. Non c'era-no spazi diversi per l'esperienza di vita. La famiglia rappresentava il luogo normale e continuativo dell'esperienza culturale. L'unità quindi si manteneva perché mancavano forze centrifughe, aperture di orizzonti diversi per i componenti della famiglia. Pensate, ad esempio, al legame quasi fatale fra il lavoro del padre e del figlio. In terzo luogo c'era la subordinazione della donna all'autorità maritale, che era una norma assoluta. L'attività pastorale della Chiesa ha in questo una specifica responsabilità, perché il modello che si forniva alla donna era un modello di subordinazione al marito. La "donna cristiana" è quella che dice sempre di sì al marito, che non ha in nessun campo iniziativa propria, le cui virtù sono tutte una garanzia alla tirannide maschile e i cui compensi mistificanti sono l'essere l'angelo del focolare.

Perfino san Paolo porta riflessi della condizione sociale della donna dei suoi tempi, quando dice che la donna deve essere sottoposta al marito, o deve coprirsi il capo quando entra in assemblea perché il capo della donna è l'uomo. San Paolo non rivela niente che abbia rapporto con la liberazione portata da Gesù Cristo. Assume norme di comportamento proprie della società ebraica. Ma noi dobbiamo sapere che la fedeltà alla parola di Dio non è fedeltà ai modelli sociologici del comportamento, legati ad una certa fase dello sviluppo storico. La parola di Dio non assolutizza, non rende normativi quei modi di comportamento, ci esorta anzi a liberarcene.

E alla fine c'era il pessimismo sessuale, che svuotava la famiglia di ogni significato positivo di comunione spontanea a tutti i livelli e relegava la vita sessuale a una funzione di servizio in rapporto all'azione. Il matrimonio è per i figli. In realtà, pensate che nel passato, anche in quel passato che certi nostalgici rimpiangono, il consenso libero della donna al matrimonio era una circostanza neanche presa in considerazione. La donna aveva così radicalmente accettato il modello impostole dalla società e dalla Chiesa che aveva perfino vergogna a dire che desiderava prender marito; magari lo desiderava con tutta se stessa, ma tale desiderio rimaneva inibito. Doveva esser lei, la donna cercata. Doveva essere senza iniziative e con un'etica del comportamento femminile che voi conoscete bene. La stessa definizione della donna era di tipo biologico. La donna si definiva in rapporto alla sua biologia: era vergine o madre. Non persona, come l'uomo, capace di decidere della propria vita indipendentemente dalla condizione biologica; ma legata strettamente a questa, con delle sfere di mortificazione terribili, come la donna che non ha sposato, la zitella, considerata una donna fallita.

Oggi ci troviamo nella situazione in cui lo sviluppo della società ha messo in crisi le componenti di struttura che sorreggevano un certo tipo di famiglia cosiddetta cristiana. Abbiamo una crisi della famiglia che per molti è la crisi della famiglia cristiana, ma che invece è la crisi della famiglia tradizionale e niente altro. Allora, un credente, quali doveri ha in questo momento? Non di stringersi, di far quadrato attorno a un model-lo di famiglia che non ha più nessuna ragione storica di continuare, ma rifarsi all'esigenza evangelica, interrogarsi di fronte ai Vangelo.

Ora, secondo me, il Vangelo, non ci dà nessun esempio di famiglia precisa. Anche la sacra famiglia è un invenzione posteriore, borghese, perché la famiglia di Nazareth, non è un modello di famiglia, per il semplice fatto che, almeno nelle convinzioni di fede, Maria e Giuseppe non erano autenticamente marito e moglie. Quindi, presentare come modello di famiglia un modello in cui proprio l'aspetto principale non era integro, significa fare una mistificazione.

Indicazioni evangeliche

Occorre domandarsi piuttosto in che senso il Vangelo si apre a questa esperienza particolare della vita che è l'amore nella famiglia, nella linea della liberazione, cioè nella crescita secondo il disegno di Dio. A me pare che ci siano dei punti fermi, questa volta autenticamente fermi, a cui fare riferimento in questo tentativo di recupero del significato evangelico che può avere la vita nell'amore, la vita familiare. Innanzi tutto, è sicuramente un'affermazione di fondo del Vangelo che dinanzi a Cristo non c'è nessuna differenza fra l'uomo e la donna, dinanzi a Cristo non c'è né maschio né femmina. (...)

In secondo luogo, secondo il Vangelo, la fedeltà non è il risultato di una legge esterna che costringe, ma è un'espressione dell'amore. Un'altra esigenza interna allo spirito evangelico è il rifiuto della strumentalizzazione, del rendere l'altro uno strumento di se. Espressioni bibliche quali "la persona umana è fatta a immagine di Dio", "amate i vostri mariti come la Chiesa ama Cristo", "amate le vostre mogli come Cristo ama la Chiesa", per un credente sono un invito decisivo a rifiutare di fare dell'altra persona uno strumento di sé, si tratti dei rapporti fra coniugi, si tratti di rapporti familiari.

Questo rispetto della persona significa garanzia del rapporto veramente comunitario, perché tra rapporto comunitario e rapporto di società stabilito dalla legge c'è una differenza di qualità: il rapporto comunitario in tanto è, in tanto vive, in quanto trova la sua sorgente nel libero consenso e nel rispetto spontaneo della coscienza verso l'altro; i rapporti societari invece sono quelli che si stabiliscono per forza di legge.

La famiglia, istituzione legata alle condizioni storiche

Siamo all'ultimo punto: non dobbiamo cadere in un così ingenuo evangelismo da credere che la famiglia non interessi la società, che debba essere riferita soltanto all'esperienza spirituale. Ogni espressione dell'uomo, ma la famiglia in particolar modo, in quanto si innesta nei rapporti sociali genera-li, ha bisogno di istituzionalizzarsi. La istituzionalizzazione è un momento di serietà umana, il momento in cui si traduce in norma esterna la responsabilità di fronte alla società intera.

Però, non è con questo momento istituzionale che si definisce la famiglia. Il momento istituzionale è quello in cui l'esperienza della famiglia assume rapporti e responsabilità con l'insieme della realtà sociale. E la società, come tale, ha bisogno di tutelare la famiglia, di farsene garante in qualche modo, di proteggerne e favorirne lo sviluppo. Ma questo momento, lo ripeto, è del tutto legato alle condizioni storiche e varia a seconda del mutare delle condizioni storiche; perciò oggi c'è bisogno di una nuova istituzionalizzazione della famiglia.

La famiglia è una creazione continua. Nella Bibbia c'è la poligamia, poi si è acquisito il concetto della famiglia monogamica, che forse è un concetto irrinunciabile. Però non si deve dire che è la natura che l'ha voluto, perché questo significa attribuire alla natura astratta delle conquiste storiche che sono invece relative anch'esse. Forse la famiglia dovrà cambiare ancora forma, dovrà cambiare struttura. Il concetto del diritto naturale è un concetto dell'immobilismo borghese, con cui si sono voluti rendere eterni e immutabili alcuni rapporti che erano funzionali alla società borghese. E qual è il criterio con cui la famiglia deve cambiare struttura? È quel di più di libertà che l'uomo deve avere. Quando diciamo libertà non parliamo della libertà soggettivistica identica al libero arbitrio, ma di una libertà in cui veramente l'esistenza dell'uno sia garanzia e condizione della libertà di tutti gli altri.

Questa crescita della famiglia presuppone un nuovo diritto familiare in cui dovrà essere anche previsto il caso nel quale la fedeltà reciproca di indissolubilità non è più possibile. Cioè la clausola del divorzio come verifica di un fallimento dell'esperienza e come legittima dei due, che hanno portato a termine un esperienza fallita, di crearsi una esistenza coniugale. Questo la legge lo può fare; a rigore, lo deve fare. Però il diritto di famiglia non è questo. Ecco perché dovremo, una volta superata la battaglia sul referendum, considerarci continuamente mobilitati per favorire in Italia una modificazione profonda del diritto di famiglia, perché esistono già ormai le condizioni di coscienza generali e perché certe norme giuridiche della tradizione siano abolite e superate.

E naturalmente, quando si fa questa battaglia per un nuovo tipo di famiglia, si deve fare anche una battaglia per un nuovo tipo di società, perché se i rapporti economici rimangono quelli che sono poco vale il modificare i rapporti giuridici. Al più avremmo un aggiornamento neo-capitalistico della famiglia. In ogni caso, una battaglia per la famiglia che si apre con il referendum, non si chiude con il referendum. Però dobbiamo dirci che noi, in quanto cristiani, non abbiamo niente, nessun modello nostro da difendere. Noi dobbiamo ricercare con gli altri un modello giuridico ed etico di famiglia, perché non abbiamo privilegi di nessuna sorta come credenti. Come credenti ci compete l'onere e il privilegio, se volete, di essere fedeli alle ispirazioni evangeliche fonda-mentali; ma queste ispirazioni non sono da tradurre come modello etico-giuridico, poiché sono una spinta continuamente trasformante della realtà storica, disponibili a sempre nuove forme di ordinamento familiare.

 

Ernesto Balducci fu una delle personalità di maggior spicco nella cultura del mondo cattolico italiano nel periodo che accompagnò e seguì il Concilio Vaticano II. Fu legato a Giorgio La Pira, David Maria Turoldo, Lorenzo Milani, Nazareno Taddei, Danilo Cubattoli, Silvano Piovanelli, Mario Gozzini, Bruno Borghi, Raffaele Bensi e molti altri cattolici democratici e "di sinistra" vissuti a Firenze tra gli anni cinquanta e gli anni novanta. Intrecciò forti relazioni anche con personalità laiche come Lelio Basso. Cantato da Marco Masini a lui dedicata la canzone "Dio non c'è" che parla del particolare rapporto fra il Padre e il cantante ateo.

Il suo luogo di nascita, Santa Fiora, un paese di minatori sul Monte Amiata, fu sempre considerato da Balducci un'ispirazione basilare per la sua formazione umana, civile e religiosa, in una chiave politica attenta alle istanze di giustizia dei più poveri, dai minatori dell'Amiata agli emarginati delle città e del Terzo mondo. Fu ordinato sacerdote il 26 agosto 1944 e subito inviato nella Firenze liberata, dove insegnò nelle Scuole Pie Fiorentine e si laureò in Lettere nel 1950 con una tesi su Antonio Fogazzaro.

Il biblista Maggi: “Offrire le proprie sofferenze a Dio è bestemmia”

 

 

Avere inventato il peccato e Satana, come responsabili del male, è stata una trovata deleteria”, “il Dio di Gesù non castiga. Il peccato è una diminuzione dell'uomo, non offende Dio”, “il paradiso terrestre descritto nella Genesi non c'è mai stato, è da costruire“

 

Davanti a fatti dolorosi di morte, malattie, stragi, soprattutto d'innocenti come quelle ultime accadute a Parigi, si leva forte la voce della Chiesa. Ne parliamo con padre Alberto Maggi, noto biblista del centro studi Vannucci.

Perché il male, il dolore?

‟Gli antichi popoli pensavano a un Dio buono e a quello cattivo portatore di tenebre e di morte. Il popolo d'Israele invece fa un singolare percorso nella sua spiritualità. E’ un processo lentissimo: prima si dà un solo Dio autore del bene e del male, che poi è quello che oggi persiste nell'islam: sia fatta la volontà di Dio. Proseguendo nel suo percorso storico di ricerca spirituale giunge a un Dio solo buonoˮ.

E allora il male?

‟Ecco, è qui la sciagura, perché verranno inventati il peccato e Satana, come responsabili del male; una trovata che sarà deleteria e lo rimarrà fino a oggi, anche nel nostro senso comune. Inoltre, veniva immesso anche il concetto di remunerazione, cioè le persone buone erano benedette da Dio con ricchezze, famiglia prosperosa ecc. mentre i cattivi al contrario con miseria, moglie sterile, ecc., in tal modo tutte le atrocità dell'uomo erano caricate sul peccatoˮ.

Questo era per discolpare Dio, ma non faceva acqua questo pensiero?

‟Certamente, perché tanti che non avevano peccato non riuscivano a capire ciò e per questo s'inventò il peccato nelle generazioni; il vecchio testamento ci dice: fino alla quarta generazioneˮ.

Penso che noi cristiani siamo eredi di questa spiritualità…

‟Malata, non presa dalle parole di Gesù. Uno di questi concetti, insito in ciò, è il castigo di Dio. Prendiamo, ad esempio, una preghiera assolutamente non cristiana: l'atto di dolore che da piccoli ci hanno insegnato nel catechismo. Qui non è nominato lo spirito e non esiste Gesù. È tutta una bestemmiaˮ.

È rimasta così?

‟Solo nel 1974 la chiesa ha creato otto formulari di grande serenità, perché il Dio di Gesù non castiga. Invece il peccato è una diminuzione dell'uomo, non offende Dioˮ.

Penso agli episodi di persone fatte sante, perché hanno sofferto e più soffrivano più erano sante; cosa dire?

‟Non bisogna supplicare Dio, egli ci precede. Ricordiamoci la frase di Gesù: Dio sa quanti capelli hai in testa e anche se qualcuno in quel preciso istante ti cade lui lo sa. Allora dobbiamo essere più fiduciosi, perché Dio trasforma il male in bene. Dio crede che noi possiamo continuare la sua azione creatriceˮ.

È un pensiero per farci stare buoni e accettare tutto?

‟Chiariamolo, Gesù parla di gioia, che il padre è amore. Ai tempi di Gesù la spiritualità farisaica era basata sul merito (premio/castigo), Gesù la distrugge affermando nei fatti che Dio perdona tutti anticipatamente, non giudicandoˮ.

E allora il concetto di peccato?

‟Per Gesù gli uomini sono orientati nelle relazioni fra loro, non ognuno verso Dio; bisogna seguire Gesù, il suo esempio. Gesù rivoluziona tutto, così che il peccato verso Dio non esiste e satana scompareˮ.

Ricordo i vangeli, raccontano di un Gesù che si occupa dei malati non del peccato.

‟Offrire le proprie sofferenze a Dio è bestemmia, egli non vuole tutto ciò. È Dio che si offre per aiutarci, ci precede in questo e nulla ferma il suo progetto creativo unico e originale su ognuno di noi, egli ti accoglie, perché tu possa superare quell'avversità che si presenta, perché una disgrazia può diventare un'opportunità, ci dice siate misericordiosi come lo è Dio padreˮ.

Spiegami bene.

‟Il paradiso terrestre descritto nella genesi non c'è mai stato, è da costruire, per questo Gesù tante volte ignora la prescrizione sacra del riposo del sabato dettata dal racconto sulla creazione: venne il sabato e Dio si riposò. Per Gesù, Dio continua ancora nella sua azione creatrice, ecco che il male, le malattie, le ingiustizie nel mondo sono tutti segni di questa creazione in movimento non ancora completata e spariranno alla conclusione di ciò. Compito dei credenti è muoversi per arginare e andare contro il male con pieno amoreˮ.

Sarebbe il prendere ognuno la propria croce?

‟Gesù parla di seguirlo, non di croce, piuttosto quello di cui parlano i vangeli possiamo tradurlo in: perdere la reputazione nell'andare avanti da persone libere, come fece Maria, come hanno fatto tante grandi figure. Prendiamo una preghiera composta nel medioevo, il Salva regina, ha parole in aperto contrasto con l'insegnamento di Gesù: noi figli di Eva (cioè figli del peccato) che addirittura viviamo in una <valle di lacrime>… <gemendo e piangendo>. Gesù parla di gioia non di lacrime. Ti rendi conto di cosa è stato inventato dall'uomo? Giovanni evangelista afferma: la luce splende nelle tenebre e Gesù ci chiede di liberare la nostra energia in modo che le tenebre diminuiscano sempre più, in modo da comunicare vitaˮ.

Occorre avere fiducia in Dio?

‟La fede non è né un dono dall'alto né un'assicurazione contro gli infortuni, che chiediamo a Dio sicché quando ci va male qualcosa non lo accettiamo. Essa è la risposta degli uomini al dono d'amore che Dio ci faˮ.

Allora nessuna situazione ci deve scoraggiare?

‟Prendiamo Maria, ha detto sì una volta e tutto le è andato storto: da fuggitiva col bimbo a vedere accusato il figlio come pazzo, ma la sua grandezza non sta nell’essere madre di Gesù, ma perché si è messa dietro di lui divenendo discepola fin sotto la croce. Maria aveva fede nel progetto di Dio e i vangeli riportano Maria che segue un Gesù vivo, infatti non è presente al sepolcro e ciò non è un casoˮ.

Allora per ognuno di noi il progetto è diverso?

‟Noi siamo l'originale frutto d'amore e anche il male, che sembra pietra, è pane che ci alimenta, come dicono i vangeliˮ.

Dato che tutto è teso verso il progetto originale di Dio, la morte com'è contemplata?

‟Abbiamo la vita biologica che ha un inizio, uno svolgimento e una fine, ma c'è anche quella interiore che per crescere deve sempre alimentare (dare). Ognuno di noi ha il desiderio di pienezza. Noi abbiamo la profonda certezza che la luce l'avrà vinta sulle tenebre, è per questo che non dobbiamo combattere il male, ma lasciar splendere l'energia presente in noi. Ognuno di noi è migliore di ciò che appare. Gesù ha detto: io ho vinto il male, non poi lo vincerò, perché le sofferenze presenti nel percorso della nostra vita le supereremo come ha fatto lui. Si diventa figliuoli di Dio (il figlio è uno solo) somiglianti a lui non perché battezzati, ciò è una relazione statica, ma quando si vuole bene con gioia senza aspettarsi niente, quando si perdona prima per il male avuto, quando si vuol bene a chi non lo merita. Dopo di ciò la vita cambia, Dio entra in noi, risponde e precede i nostri bisogni. Il Dio di Gesù non è da cercare, ma da accogliere. Dio si manifesta nella debolezza, cioè più si è umani più si manifesta. Il Dio di Gesù chiede all'uomo di diventare il suo tempioˮ.

Ma allora dove è Dio?

‟C'è una frase che sentiamo quando una persona muore: è tornato alla casa del padre. Che cosa significa? Noi siamo la casa del padre. Con la morte biologica non si va in cielo, perché il cielo è in noi e ha reso la nostra vita indistruttibile. Non c'è da andare in nessun santuario. È l'uomo il santuario di Dio. Gesù porta a una nuova relazione con Dio, come dice Giovanni evangelista: non è Gesù uguale a Dio, ma è Dio uguale a Gesù, cioè tutto quello che tu credi di Dio devi esaminarlo alla luce di ciò che ha fatto Gesù. Chi vede il padre vede meˮ.

 

È una visione totalmente diversa cui ci porta padre Alberto Maggi, da biblista che rivisita questi testi. È così che ci appare il male, la sofferenza. È il segreto del grandioso progetto divino unico e irripetibile per ciascuno di noi. Un affresco, semplicemente stupendo, ci indica una strada, anche se difficile, per uscire a un nuovo modo di vivere.