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la Chiesa non può illudersi di brillare di luce propria

 

Papa Francesco cita «una bella espressione» di sant’Ambrogio: «Veramente come la luna è la Chiesa: rifulge non della propria luce, ma di quella di Cristo». Il popolo di Dio non può illudersi di essere fonte di illuminazione, perché è il contrario: è illuminato da Dio, ed è chiamato a riflettere questa illuminazione. Così annunciare il Vangelo «non è una professione» nè una scelta tra tante. Il Pontefice lo ricorda e precisa nell’omelia della Messa celebrata questa mattina nella basilica di San Pietro nella Solennità dell’Epifania del Signore, durante la quale dice: davanti a Gesù «non esiste divisione alcuna di razza, di lingua e di cultura: in quel Bambino, tutta l’umanità trova la sua unità».

Papa Bergoglio ha premesso: «Le parole del profeta Isaia – rivolte alla città santa Gerusalemme – ci chiamano a uscire, uscire dalle nostre chiusure, uscire da noi stessi, e a riconoscere lo splendore della luce che illumina la nostra esistenza: “Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te”». E «la “tua luce” è la gloria del Signore». Dunque «la Chiesa non può illudersi di brillare di luce propria. Lo ricorda con una bella espressione sant’Ambrogio, utilizzando la luna come metafora della Chiesa: “Veramente come la luna è la Chiesa: rifulge non della propria luce, ma di quella di Cristo. Trae il proprio splendore dal Sole di giustizia, così che può dire: ‘Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me’”».  

 

Gesù è la vera luce che rischiara, «e nella misura in cui la Chiesa rimane ancorata a Lui, nella misura in cui si lascia illuminare da Lui – sottolinea il Papa - riesce a illuminare la vita delle persone e dei popoli. Per questo i santi Padri riconoscevano nella Chiesa il “mysterium lunae”». 

 

Francesco rileva il bisogno «di questa luce che viene dall’alto per corrispondere in maniera coerente alla vocazione che abbiamo ricevuto». E poi puntualizza:annunciare il Vangelo «non è una scelta tra le tante che possiamo fare, e non è neppure una professione. Per la Chiesa, essere missionaria non significa fare proselitismo; per la Chiesa, essere missionaria equivale a esprimere la sua stessa natura: essere illuminata da Dio e riflettere la sua luce. Non c’è un’altra strada. La missione è la sua vocazione». Evidenzia Francesco: «Quante persone attendono da noi questo impegno missionario, perché hanno bisogno di Cristo, hanno bisogno di conoscere il volto del Padre». 

 

Ecco poi il riferimento ai Magi: essi sono «testimonianza vivente del fatto che i semi di verità sono presenti ovunque, perché sono dono del Creatore che chiama tutti a riconoscerlo come Padre buono e fedele. I Magi rappresentano gli uomini di ogni parte della terra che vengono accolti nella casa di Dio». Infatti davanti a Gesù «non esiste più divisione alcuna di razza, di lingua e di cultura: in quel Bambino, tutta l’umanità trova la sua unità. E la Chiesa ha il compito di riconoscere e far emergere in modo più chiaro il desiderio di Dio che ognuno porta in sé». E come i Magi, «tante persone, anche ai nostri giorni, vivono con il “cuore inquieto” che continua a domandare senza trovare risposte certe. Sono anche loro alla ricerca della stella che indica la strada verso Betlemme». 

 

Esclama Francesco: «Quante stelle ci sono nel cielo! Eppure, i Magi ne hanno seguita una diversa, nuova, che per loro brillava molto di più. Avevano scrutato a lungo il grande libro del cielo per trovare una risposta ai loro interrogativi, e finalmente la luce era apparsa». Il Pontefice riflette sulla stella dei Magi. Quella stella cambia i Magi, dice oggi il Papa: «Fece loro dimenticare gli interessi quotidiani, e si misero subito in cammino. Diedero ascolto a una voce che nell’intimo li spingeva a seguire quella luce»; quella «è la voce dello Spirito Santo - aggiunge senza leggere il testo scritto - che lavora in tutte le persone», ed essa «li guidò finché trovarono il re dei Giudei in una povera casa di Betlemme». 

 

Tutto quello che viene ricordato nel giorno dell’Epifania è «un insegnamento per noi. Oggi ci farà bene ripetere la domanda dei Magi: “Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti per adorarlo”». Per Francesco, gli uomini e le donne sono sollecitati, soprattutto in un’epoca come questa, a porsi «in ricerca dei segni che Dio offre, sapendo che richiedono il nostro impegno per decifrarli e comprendere così la sua volontà. Siamo interpellati ad andare a Betlemme per trovare il Bambino e sua Madre». Per riuscirci occorre seguire «la luce che Dio ci offre! Piccolina - evidenzia «braccio» - l’inno del breviario poeticamente ci dice che i Magi cercarono una piccola luce, la luce che promana dal volto di Cristo, pieno di misericordia e di fedeltà».  

 

Una volta arrivati «davanti a Lui, adoriamolo con tutto il cuore - esorta Francesco - e presentiamogli i nostri doni: la nostra libertà, la nostra intelligenza, il nostro amore». «La vera sapienza - afferma in conclusione - si nasconde nel volto di questo Bambino. È qui, nella semplicità di Betlemme, che trova sintesi la vita della Chiesa. È qui la sorgente di quella luce, che attrae a sé ogni persona e orienta il cammino dei popoli sulla via della pace».